domenica 24 gennaio 2010

Musica nella storia

MUSICA NELLA PREISTORIA
Alcuni popoli consideravano la musica un dono degli dei e il suono la loro voce. Anche nella Bibbia è presente la musica. I sacerdoti cantori erano importanti perché conoscevano le leggi arcane della materia sonora.
I primi strumenti musicali furono adattamenti di utensili impiegati per fini pratici o lo stesso corpo umano. Uno studioso classificò gli strumenti in: idiofoni, membrafoni, aerofoni e cordofoni. Tra gli idiofoni (i più diffusi) ricordiamo (o meglio dovremo ricordare) il corpo umano, i tronchi e sonagli di semi o di sassolini. Per i membranofoni le pelli di animali tese su una cavità e i primi tamburi. Tra gli aerofoni il bastone sibilante, flauti di ossa di animali. Tra i cordofoni (meno diffusi) l'arco e il salterio di canna.
Forse la musica è nata quando l'uomo ha cominciato ad imitare i rumori della natura. Presso i popoli antichi la musica aveva origine divina, in quanto furono gli dei, si narra, a donarla agli uomini. Si pensa che le forme musicali del periodo preistorico consistessero in danze e canti di carattere sacro o magico, volte a propiziarsi gli dei. Le melodie dovevano avere un carattere ripetitivo e il ritmo era ossessivo. E' probabile che i primi strumenti fossero oggetti quotidiani usati come strumenti a percussione, persino zucche essiccate contenenti sassolini e in seguito tamburi, flauti. Nessuno dei popoli primitivi studiati dagli antropologi ignora l'uso dei suoni, cioè un qualche tipo di musica. Ed è pensabile che essa si sia sviluppata nelle comunità preistoriche insieme con il linguaggio. Per amplificare la voce e mandare richiami a distanza, gli uomini primitivi si servivano di grandi conchiglie o di trombe fatte di scorza d'albero, che furono dunque i primi strumenti a fiato. Oppure battevano su tronchi cavi o su pelli tese sopra un recipiente vuoto, insomma sui primi strumenti a percussione. Anche la natura offre suoni significativi, che possono essere modulati o fragorosi: basta pensare al canto soave dell'usignolo o, al contrario, ai rumori improvvisi e terrificanti della tempesta, con il vento che sibila tra gli alberi, la pioggia che scroscia sulla terra e il tuono che squarcia il cielo. Gli uomini primitivi, attenti ai fenomeni naturali e intimoriti dal fatto di non poterli controllare consideravano questi suoni come voci divine, e ben presto la musica venne ad avere una parte importante nei riti magici e religiosi delle comunità umane. Con i flauti fatti di canne più o meno lunghe si potevano emettere suoni simili al cinguettare degli uccelli, con i tamburi e i gong si imitavano i suoni più profondi o squillanti. Quando tuttavia parliamo di musica, intendiamo non solo l'emissione di suoni con la voce e gli strumenti, ma anche una qualche loro organizzazione. Può bastare un suono soltanto per avere della musica, ma ripetuto seguendo un "ritmo".Più suoni, alti e bassi, emessi successivamente da uno strumento o dalla voce danno una "melodia". Più suoni emessi simultaneamente creano un"'armonia", naturalmente se vanno d'accordo tra loro, altrimenti si ha un'accozzaglia sgradevole. Il lungo cammino della musica attraverso i millenni ha visto uno sviluppo molto complesso di questi tre elementi: ritmo, melodia, armonia. Per quanto diversi siano i risultati presso i differenti popoli e le differenti culture, è certo che la musica ha accompagnato l'uomo in ogni tipo di società. Essa è una componente fondamentale dello spirito umano e un'esigenza insopprimibile. Prima di nascere, ciascuno di noi vive lunghi mesi nel grembo materno e ogni attimo è scandito dal ritmo del cuore della mamma.Anche nella nostra preistoria personale, dunque, c'è la musicaLa musica antica, greca e romana, pone problemi ben diversi da quelli che si presentano agli studiosi della musica di altre epoche: infatti non conosciamo nulla o quasi delle composizioni che furono prodotte e eseguite in quel periodo. Non possediamo neppure una nota di tutto ciò che è stato composto prima del III secolo a.C. e i pochissimi testi musicali di età ellenistica e romana che ci sono pervenuti non forniscono indicazioni precise e esaurienti per la loro esiguità e il deplorevole stato di conservazione. Dal 1850 in poi il nostro patrimonio di testi musicali si è relativamente arricchito per la scoperta di tre iscrizioni - i due Inni delfici e l’epitafio di Sicilo, del I secolo - e di una quindicina di brevi frammenti papiracei, il più antico dei quali è del III secolo a.C. e contiene alcuni versi dell’Ifigenia in Aulide di Euripide. Queste composizioni, prese insieme, non arrivano all’estensione di una sonata di Bach per violino solo; per di più sono quasi tutte molto frammentarie e la loro interpretazione e trascrizione è spesso problematica.Scarse sono anche le indicazioni culturali che possiamo ricavare dalle opere dei teorici greci e romani, in quanto essi considerarono il fenomeno musicale quasi esclusivamente dal punto di vista dell’indagine acustica e matematica. Si occuparono soprattutto della dottrina degli intervalli, calcolandone l’ampiezza in base a rapporti numerici e analizzando i vari modi in cui gli intervalli stessi possono disporsi all’interno dei tetracordi ( schemi musicali elementari, formati dalla successione di quattro note, che per la musica greca hanno la stessa funzione delle scale di ottava per la nostra musica) e dei sistemi (strutture più ampie, formate da due o più tetracordi). Nei loro scritti non si trova mai né un riferimento a una composizione musicale qualsiasi né una indicazione circostanziata sulla tecnica compositiva e esecutiva.E’ invece considerevole l’ampiezza della documentazione, reperibile in tutta la tradizione letteraria, filosofica e artistica, pertinente all’incidenza del fenomeno musicale nella cultura antica e ai suoi aspetti sociologici.La musica nella civiltà romana:Le considerazioni di ordine generale sull’importanza della musica nella vita sociale e culturale dei Greci conservano il loro valore anche se vengono riferite alla civiltà romana che nel periodo delle origini, per quanto riguarda i fenomeni musicali, presenta caratteri di sostanziale analogia con la grecità arcaica: anche a Roma, in un ambito di cultura orale, tutte le forme poetiche di cui ci è giunta notizia (poesia sacrale, canti conviviali, testi drammatici, canti trionfali, lamentazioni funebri) erano destinate all’esecuzione cantata con accompagnamento strumentale. Fra gli strumenti a corde si ritrova la lira e fra quelli a fiato la tibia, simile all’aulos. Tipicamente romani furono invece strumenti a fiato come il cornus e il lituus, entrambi di bronzo e usati in campo militare: proprio gli strumenti militari erano al centro della cerimonia del Tubilustrium , durante la quale erano "purificati" con riti e preghiere. I mutamenti più consistenti rispetto alla tradizione greca si registrarono in età imperiale, quando affluirono a Roma in gran numero cantanti, danzatori e strumentisti provenienti, oltre che dalla Grecia, anche da altre parti dell’Impero: dall’Egitto, dalla Siria, dalla Spagna. Questo fenomeno, che si verificò in concomitanza con la massiccia immigrazione di provinciali e schiavi che alterarono profondamente il carattere stesso della società urbana, determinò la formazione di un ambiente musicale molto composito per la compresenza di forme espressive così eterogenee. Una reazione a questo inquinamento della cultura musicale greco - romana può forse essere individuata nei tentativi di ridare lustro ai generi solistici di più antica tradizione, come la citarodia e la citaristica, da parte di alcuni imperatori che erano anche buoni dilettanti o perlomeno intenditori di musica (Nerone, Vespasiano, Adriano). Accanto alle manifestazioni della musica profana si affermarono in Roma anche le espressioni musicali collegate ai culti di divinità straniere: durante le cerimonie rituali in onore di Cibele si eseguivano melodie di origine frigia accompagnate dal suono degli élymoi, auloi di lunghezza diversa, uno dei quali terminava con un padiglione ricurvo all’indietro, e ritmate dai cimbali e dai timpani; gli stessi strumenti erano impiegati nei riti dionisiaci, i Bacchanalia. Il culto di Iside, che si diffuse soprattutto dopo la conquista dell’Egitto, del 31 a.C., fece conoscere ai Romani, oltre alle melodie e alle danze della valle del Nilo, anche il sistro, uno strumento formato da lamine metalliche che tintinnavano agitate dai sacerdoti.Fu in questo ambiente culturale così vario e composito che si formò nel I-II secolo il primo nucleo dei canti cristiani.
I primi fedeli che costituirono la chiesa di Roma erano ebrei, e nella salmodia ebraica noi possiamo senz’altro individuare uno degli elementi fondamentali delle primitive espressioni musicali cristiane; tuttavia il canto liturgico si arricchì di motivi eterogenei, cui certamente non fu estranea la influenza della musica greco - romana. La contrapposizione ideologica tra cristiani e pagani condizionò tuttavia anche la musica del culto. Nel 313 Costantino concesse ai cristiani la libertà di culto e più tardi Teodosio fece del Cristianesimo la religione ufficiale dello Stato: per soddisfare l’esigenza di una partecipazione corale al rito, accanto alla salmodia solistica e al canto responsoriale, si introdusse nella liturgia cristiana anche il canto antifonale, eseguito da tutti i fedeli divisi in due semicori. Questi modi di esecuzione vocale costituirono i punti di partenza perla successiva evoluzione delle forme musicali del Medioevo: alla caduta dell’Impero d’Occidente, solo la musica della Chiesa si salvò dall’offuscamento e dalla scomparsa della tradizione musicale classica e fu in grado di fornire un contributo determinante alla formazione delle nuove culture musicali nazionali.La musica degli antichi romani fu influenzata dal popolo etrusco, da quello greco e dai popoli medioorientali. La tuba era una tromba etrusca dritta, in bronzo o legno ricoperto di cuoio: altri strumenti erano il cornu (un corno semicircolare) e la buccina, un corno animale. Nell'esercito la tuba era usata per l'attacco e la ritirata, la buccina per i turni di veglia. la differenza degli antichi Greci, i Romani non attribuivano grande importanza all’arte dei suoni: dalle fonti letterarie sappiamo che la musica era presente nelle cerimonie pubbliche e private ma i suonatori e i cantori non godevano di alta considerazione e appartenevano ai ceti sociali più bassi.Soprattutto in epoca repubblicana, la musica era considerata utile ma, allo stesso tempo, pericolosa perché poteva rendere fiacchi e deboli gli animi.Non veniva utilizzata quindi per rilassare o per alleviare le fatiche del vivere quotidiano: al contrario serviva ad incitare,a dare energia, a stimolare lo svolgimento di attività. Per questo motivo i Romani preferivano gli strumenti a fiato, dal suono più potente e deciso rispetto a quelli a corda. Per quanto riguarda gli strumenti musicali conosciamo tra gli altri: la tibia, simile all’aulòs, ad ancia doppia; il lituus, l’antico progenitore della tromba; la bùccina, lunga più di tre metri ed usata in ambito militare; l’hydraulis, organo ad aria e ad acqua, lo scabellum, una specie di tamburo percosso con i piedi.Dalle fonti sappiamo che melodia, ritmo e armonia derivavano prevalentemente dai modelli della cultura.

La musica : le civiltà fluviali e la civiltà europea


La musica è l'arte del generare, manipolare e combinare suoni che, secondo determinate leggi fisiche, risposte fisiologiche e convenzioni formali, esprimono e suscitano uno stimolo fisico ed emotivo attraverso l'apparato uditivo. Il generare suoni avviene, di norma, mediante la voce umana (canto) o mediante strumenti che, utilizzando i fenomeni dell'acustica, provocano la percezione uditiva e l'esperienza emotiva voluta dall'artista. Il significato del termine musica non è comunque univoco[1] ed è molto dibattuto tra gli studiosi per via delle diverse accezioni utilizzate nei vari periodi storici. Etimologicamente[2] deriva dall'aggettivo greco mousikos (relativo alle Muse, figure della mitologia greca e romana) riferito in modo sottinteso a tecnica, anch'esso derivante dal greco techne. In origine il termine musica non indicava una particolare arte, bensì tutte le arti delle Muse, e si riferiva a qualcosa di "perfetto" e "bello".

LE CIVILTA’ FLUVIALI
Le principali civiltà fluviali si svilupparono in piena età dei metalli a iniziare dal IV e III millennio a. C.
Presero origine in India lungo le rive dell’Indo, in Cina intorno al Fiume Giallo, in Egitto lungo le sponde del Nilo e in Mesopotamia tra i due fiumi Tigri ed Eufrate.
In Egitto e in Mesopotamia la presenza di grandi fiumi, che garantiscono l’irrigazione dei campi, è un elemento fondamentale; in entrambi i casi l’uomo, con il suo lavoro, ha saputo regolamentare a proprio vantaggio le piene di questi fiumi.
La Mesopotamia fu culla di una civiltà cui si dà abitualmente il nome di "sumero-accadica" e che per tre millenni ha esercitato un influsso notevolissimo sulle altre formazioni storiche del Medio Oriente, per poi scomparire all'inizio dell'Era cristiana, non senza aver lasciato una vasta eredità culturale. È probabile che proprio nell'ambiente mesopotamico sia avvenuta la scoperta dell'agricoltura, destinata a rivoluzionare la vita dell'uomo. Da queste fasi culturali si svilupparono le fasi protostoriche, caratterizzate dall'apparire, intorno alla metà del IV millennio, della scrittura, dapprima pittografica, poi ideografico-sillabica, e poi destinata a cristallizzarsi nel caratteristico aspetto cuneiforme.

a) LA MUSICA CINESE
Nell’antica Cina, la musica ebbe un posto di notevole importanza, non solo nelle cerimonie religiose e civili ma anche nel ruolo educativo dei giovani.
La musica non solo aveva funzione didattica ma veniva investita di significati metafisici; era infatti considerata parte di un complesso sistema cosmologico e dalla sua perfetta esecuzione si faceva derivare il delicato equilibrio fra il Cielo e la Terra, e quindi, per estensione, la stabilità dell’Impero.
Nel Liji "Memoriale dei riti" vi è un capitolo intero di notevole estensione sulla musica. Tra l’altro vi si afferma: "la musica nasce nel cuore dell’uomo. Quando il cuore è commosso da cose esterne, la sua emozione si traduce con il tono della voce".
In questo testo, il sistema musicale cinese viene spiegato in base a 5 gradi fondamentali denominati gong (palazzo), shang (deliberazione), jiao (corno), zhi (prova), yu (ali) e viene fatto corrispondere ad altri "gruppi di cinque", fattori costitutivi e caratterizzanti la vita cosmica e umana.
La lentezza della musica cinese mette in evidenza la valenza dei suoni musicali, che acquistano un effetto magico.
Il sistema musicale cinese e i vari problemi tecnici a esso inerenti (temperamento della gamma, natura dei modi ecc. ) è stato spiegato in diversi trattati, taluni molto antichi. Alcuni di essi descrivono la determinazione del suono fondamentale da cui deriverebbero tutti gli altri. Il suono fondamentale è prodotto da una specie di flauto, ricavato da una canna di bambù. Da esso hanno origine, per progressione delle quinte, gli altri suoni (lü) che sono complessivamente 12, con nomi anch’essi evocanti[3] per lo più un parallelismo con il mondo naturale. Dalla scala dei lü ha origine la scala pentatonica, base del sistema musicale cinese. Verso il 1000 a. C. entrò in uso anche una scala eptatonica, che si formò aggiungendo due note alla gamma pentatonica. Ma la scala pentatonica fu sempre in Cina la più importante e la più usata tanto da essere definita "cinese" per antonomasia.
Gli strumenti musicali cinesi, alcuni con una storia di oltre tremila anni, si ritrovano, con piccole o grandi modifiche, in quasi tutti i Paesi dell’Asia meridionale e del Giappone. I Cinesi costruirono diversi tipi di strumenti ad arco, a pizzico, a fiato e a percussione che sono i più numerosi e forse i più antichi costruiti dall’uomo. Suonavano timpani, tamburi, campane, flauti, liuti. Caratteristico è il king formato da pietre sonore fissate a un telaio di legno, percosse mediante martelletti.

b) INDIA
Le popolazioni dell’India ebbero una musica religiosa e una profana destinata ad allietare i banchetti, per accompagnare le danze o le rappresentazioni teatrali. Tra i vari strumenti indiani (tam-tam, flauti, oboi, trombe) tipici sono la vina, caratteristico strumento a corde munito di due casse armoniche formate da zucche vuote e inoltre la ravanastra, il sarangi, il sitar, che è una specie di liuto antico che in origine era dotato di tre corde (Si = 3 ) (Tar = Corde), ed è una combinazione della vina indiana e del tamburo persiano; essi sono strumenti ad arco che si possono considerare i progenitori del violino.
La maggior parte della musica indiana più antica fu composta da uomini di fede come atto di devozione o per accompagnare la meditazione.
Ciascuno dei cinque elementi contiene un'essenza sonora, o tanmatra. I cinque tattvas, o elementi di base, corrispondono ai primi cinque 'chakras': terra, acqua, fuoco, aria ed etere[4].
I chakras sono centri sottili di energia idealmente situati all'interno del sistema cerebrospinale. Secondo la tradizione indù, tutti e cinquanta i suoni del Sanskrito sono presenti all'interno dei chakras nel corpo umano. La parola mantra deriva dal Sanskrito mantrana, che significa consiglio o suggerimento. In un certo senso, ogni parola rappresenta un mantra. Ciascun mantra, così come ciascuna parola, è una vibrazione sonora in grado di richiamare alla mente un significato intrinseco[5] ottenendo un’immediata risposta. Nella ripetizione dei mantra, detta 'japa', l’attenzione diretta verso la fonte del suono assorbe completamente la mente. L’origine del suono non risiede semplicemente nelle corde vocali ma ne costituisce l’idea stessa.
In questo senso, la pratica della ripetizione dei mantra rappresenta molto più di un suggerimento, di un consiglio o di un’idea, ma diviene uno strumento per entrare in contatto con il nostro io più profondo. Sin dagli albori[6] della civiltà, la musica è stata utilizzata nella meditazione perché in grado di equilibrare l’organismo umano attraverso la ritmica modulazione dei toni, uniti in rapporto armonico l’uno con altro.
La melodia nel giusto ritmo esercita la sua influenza sul sistema nervoso simpatico e sugli organi interni.

c) MESOPOTAMIA ed EGITTO
Il modo di intendere la musica fra queste due civiltà fu molto simile. Per ambedue la musica aveva una funzione principalmente religiosa. La si faceva nel tempio o nella reggia e siccome la reggia era la residenza del Re / Faraone / semi-dio, la differenza era solo formale. C’era anche una espressione profana della musica ma pure questa era molto legata a quella religiosa.
In verità non ci è pervenuto il minimo documento musicale utile alla ricostruzione della tradizione musicale delle due civiltà: in pratica non abbiamo alcun elemento per farci un’idea di come risultasse la loro musica. Abbiamo a disposizione soltanto alcune testimonianze iconografiche - rilievi, ceramiche dipinte, papiri disegnati - alcuni testi e qualche reperto di strumenti musicali. Niente altro. Non è semplice stabilire i limiti temporali di queste due civiltà. Per ambedue gli studiosi hanno rinvenuto testimonianze concrete non anteriori al V millennio a. C.
Ma ciò non significa che prima non vi fosse una certa tradizione musicale più o meno affermata. Nel IV millennio a. C. la vita musicale appare così solida da far immaginare un’origine davvero molto antica. Del resto è probabile che Hoss (Homo sapiens sapiens) e i suoi discendenti girovagassero in quelle zone già da diversi millenni.
Studiando le raffigurazioni sui rilievi mesopotamici si evince la funzione della musica durante le celebrazioni religiose nel tempio, ma anche durante i riti festivi, le ricorrenze, i festeggiamenti dopo una guerra vittoriosa. In più c’era un legame fluido fra i riti funebri e le lamentazioni musicali, che trovava ragione nel carattere spirituale e metafisico che si attribuiva ai suoni.
E' probabile che la musica avesse anche un ruolo educativo giacché, sempre dalle raffigurazioni iconografiche, risultano raffigurate orchestre e cori di donne e bambini.
In Egitto le cose stavano in maniera analoga[7] e lo si scopre dagli scritti degli studiosi greci.
Il tempio era il centro musicale per eccellenza, la scuola di musica, il nucleo di conservazione della tradizione musicale, la sede dei musicisti professionisti. Era una necessità il fatto che un luogo preciso fungesse da ombelico della memoria e delle attività musicali: mancando il mezzo scritto per perpetuare[8] le conoscenze musicali, tutto era affidato all’opera di trasmissione dal vivo tra maestri ed allievi, tra sacerdoti musicisti e novizi[9].
La musica del tempio, ma anche quella fatta nei ricchi palazzi o nelle strade era considerata espressione di gioia, persino quando aveva una funzione funebre. La musica accompagnava i defunti con gioia, lontana da quella concezione attonita[10] e spaventata che avrebbe caratterizzato la musica cristiana più vicina a noi.
Sia per i mesopotamici che per gli egizi la musica possedeva connotazioni[11] magiche, sovrannaturali, capaci di far vibrare i suoni in armonia con l’universo, in grado perciò di imitarne il funzionamento.
Gli Egizi cantavano e danzavano accompagnandosi con arpe, flauti, cimbali durante le processioni destinate al culto pubblico. Nelle tombe dei Re e dei Faraoni venivano posti degli strumenti musicali per permettere ai defunti di far risuonare la propria anima all’infinito. Le arpe, le percussioni e i flauti erano diffusi sin dagli inizi di queste civiltà; le trombe metalliche, i liuti o i corni appartenevano invece alle fasi più avanzate.
Alla sepoltura del faraone si facevano partecipare, come fedeli compagni di viaggio nell’aldilà, anche i più intimi del faraone stesso cosicché, probabilmente, qualche musicista finì all’altro mondo prima del tempo. Del resto i musicisti appartenevano ad una classe sociale molto elevata, quasi prossima a quella sacerdotale: la maggior parte dei musici era costituita da sacerdoti appunto.

d) La musica ebraica
Gli Ebrei attribuivano al canto un’enorme importanza nel campo spirituale. Sotto il regno di Davide le cerimonie erano imponenti e ad esse prendevano parte migliaia di coristi che accompagnavano il loro canto con gli strumenti musicali che Davide stesso aveva fatto costruire. L’esperienza musicale ebraica, attraverso la produzione di salmi[12], crea di fatto le basi di quello che diventerà il canto gregoriano.


LA CIVILTA’ EUROPEA
L’Europa, con un’identità certa e caratteri nitidi, con un suo profilo culturale già disegnato, con le sue aristocrazie e con le prime forme di organizzazione proto-statale, esiste da quando vi fu un popolo che ne calcò la terra lasciando di sé tracce inequivocabili, ben leggibili da archeologi, paletnologi, linguisti di ogni scuola scientifica. Questo popolo è l’Indoeuropeo: ai primordi[13] era unito geograficamente, da qualche parte nel nostro continente; poi si è irraggiato ai quattro punti cardinali. Ogni volta gettando il primo seme della civiltà su sostrati[14] umani più antichi e diversi: così sono nate le civiltà della Grecia e di Roma, della Persia e dell’India, e l’orma dell’uomo indoeuropeo è visibile anche in Egitto e nell’Asia centrale, ma pure nelle Americhe, e persino in Oceania.

a) La musica al tempo dei Greci e dei Romani.
Sull'esperienza delle altre civiltà, soprattutto quella egizia e quella indiana, la viva genialità del popolo greco seppe creare le basi teoriche e pratiche da cui si sviluppò in seguito tutta la musica dei paesi occidentali. In Grecia la musica era considerata uno dei mezzi più efficaci per l'educazione morale e intellettuale dei cittadini e faceva parte perciò dell'insegnamento scolastico. Gli strumenti nazionali con i quali si accompagnavano il canto dei poeti e i cori delle tragedie greche furono: la lyra, formata da un guscio di testuggine che recava alcune corde di budello tese sulla sua cavità, e l'aulòs, una sorta di flauto a doppia canna. Della musica su cui venivano cantate le diverse composizioni ci è giunto pochissimo.
Anche nell'antica Roma la musica ebbe una importante funzione, soprattutto quale accompagnamento nelle feste religiose. I Romani non ebbero uno stile musicale proprio, ma seppero piuttosto adattare, fondere e sviluppare gli stili delle diverse civiltà con le quali venivano a contatto. La musica fu però utilizzata dai Romani per rallegrare riunioni e intrattenimenti familiari, oppure per accompagnare le evoluzioni dei commedianti o per allietare i sontuosi festini dei patrizi. Tipici strumenti romani furono la tuba e la buccina, usati esclusivamente a scopi militari per dare segnali alle truppe, incitarle al combattimento o accompagnare imponenti marce trionfali.




Fonti:

http://www.krishnadas.it/Strumenti%20musicali%20dell%27India.htm
http://digilander.libero.it/ricerchescolastiche/varie/rc/musica_cinese.doc
http://www.cina.ws/arte-cultura-cina.html
http://www.maganet.net/scuole/itczappa/Maya/civilt%C3%A04.htm
http://www.magikwand-webdesign.com/musica.html
http://doc.studenti.it/appunti/ricerche/ricerca-egitto.html
http://www.gremus.it/?q=node/736
http://www.tuttocina.it/Tuttocina/musica/musiccin.htm
http://www.italiasociale.org/Libri/Indoeuropei.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Musica
http://www.antoniogramsci.com/angelamolteni/musica.htm


In copertina:
Apollo con Lyra
Pittura vascolare greca (circa 460 a.C.)
Museo Archeologico Delfi
[1] Univoco: che ha un unico significato
[2] Etimologia: studio dell’origine e della storia di una parola
[3] Evocanti: che richiamano alla mente
[4] Etere: secondo gli antichi la parte più alta e pura dello spazio
[5] Intrinseco: inerente alla natura stessa della cosa
[6] Albori: agli inizi, alle origini
[7] Analoga: somigliante, relativa alla relazione tra due o più cose
[8] Perpetuare: mantenere in eterno, far durare nel tempo
[9] Novizio: chi sta facendo un periodo di preparazione per entrare nella vita religiosa
[10] Attonito: impietrito perché fortemente impressionato
[11] Connotazioni: caratteri che appartengono ad un dato concetto
[12] Salmi: canti religiosi
[13] Primordio: origine, principio
[14] Sostrati: strati sottostanti ad altri (substrati)

La zanzara tigre

La zanzara tigre (in latino Aedes albopictus) proviene dal sud-est asiatico ma si può trovare pure in Africa, in India, in America Centrale e nel Sud America.
I primi esemplari nel Friuli-Venezia Giulia sono stati segnalati nel 1995.
La specie è alloctona, cioè non fa parte della nostra fauna, infatti si è spostata dal sud-est asiatico agli altri territori attraverso il commercio dei copertoni.
Nel territorio d’origine usa le canne di bambù come zona per la riproduzione perché in loro, come nei copertoni, durante le piogge, si forma una piccola riserva d’acqua adatta alla riproduzione.
La zanzara tigre DEVE vivere in presenza d’acqua.
Nelle nostre zone la zanzara tigre NON PORTA MALATTIE perché non sono le zanzare a portarle ma le persone infette che venendo punte da una zanzara, trasmettono la loro malattia alle altre persone punte in seguito dalla stessa zanzara.
In altri paesi alle zanzare tigre è stata attribuita la colpa di epidemie di febbri Dengue e Chikungunya e di Leishmaniosi.

La zanzara tigre è ovipara e depone le uova sulla superficie dell’acqua.
Le uova sono ovali e di colore nero. Ci sono uova dette invernali che sopravvivono all’inverno perché hanno un guscio che le isola dal freddo. Di solito vengono deposte in Ottobre e si schiudono in Aprile.
Dopo circa 1 settimana, l’uovo si schiude dando vita a una larva che vive nell’acqua in cui è stato deposto il suo uovo e si nutre di microrganismi. La larva respira l’aria attraverso il sifone, una specie di tubo che oltrepassa di poco la superficie dell’acqua.
La larva, che misura circa 5-6 mm, cresce in funzione delle condizioni ambientali più o meno favorevoli e dopo qualche giorno, diventa pupa.
La pupa è l’ultimo stadio in acqua e dura 2 o 4 giorni. La pelle della pupa è chiamata Esuvia ed è usata come “barchetta” quando si sviluppa l’adulta.
Una zanzara si può sviluppare completamente anche in 10 giorni e diventa adulta nel periodo tra Aprile e Ottobre.
L’adulta può mettere al mondo da 40 a 80 uova in 60 ore però solamente dopo aver fatto un pasto di sangue.
La zanzara può vivere fino a 20 giorni e riesce a deporre le uova 10 volte.
Le zanzare tigri si possono riconoscerle per la presenza di una striscia bianca sulla schiena. I maschi si possono riconoscere perché hanno delle antenne piumate.
A differenza delle zanzare comuni, le zanzare tigri pungono di giorno e non di notte e come le zecche immettono nella pelle un anticoagulante.


COME EVITARE DI “OSPITARLE”.


· Togliere le piccole quantità d’acqua (come nei copertoni, nei sottovasi, nei rifiuti e nei piccoli stagni) ed evitare i luoghi umidi.

· Nei grandi contenitori mettere larvivori cioè pesci e anfibi, perché le mangiano.

· Prima di utilizzare contenitori in precedenza pieni d’acqua stagnante, lavarli bene.

· Eliminare foglie e terra dalle grondaie perché possono bloccare il deflusso e così formare acqua stagnante.

· Immettere nei tombini prodotti adatti per scacciarle. Gli interventi vanno ripetuti ogni 15 giorni. I prodotti possono essere chimici o biologici, non inquinano l’ambiente e non danneggiano gli altri abitanti. Non utilizzare i disinfettanti perché danneggiano l’ambiente e gli animali.

Le zecche

Le zecche si dividono in 3 gruppi.
Uno di questi, il più comune, è quello delle ixodes (il 90% di quelle in circolazione) suddiviso in: zecche molli (si trovano nei nidi), zecche dure (hanno un guscio) e Nutalliellidae.
Le zecche assorbono il sangue, di cui si nutrono, attraverso il rostro cioè la loro bocca. In questo modo possono trasmettere diverse malattie, non sempre facili a riconoscere.
Possono deporre fino a 20 000 uova ma soltanto 1-2 diventano adulte.

Le fasi della vita della zecca sono:

LARVA => misura 0,5 mm => ha 6 zampe
NINFA => misura 1,5 mm => ha 8 zampe
MASCHIO ADULTO => misura 2,5-3,5 mm => ha 8 zampe
FEMMINA ADULTA => prima del pasto misura 3,5-4,5 mm, dopo il pasto misura 10 mm => ha 8 zampe

La larva e la ninfa utilizzano gli animali piccoli per nutrirsi (scoiattoli, roditori, …) mentre le zecche adulte “attaccano” gli animali più grandi.
Quando hanno finito di nutrirsi, si lasciano cadere sul terreno e, appena incontrano un altro animale, si attaccano a lui.
D’inverno, quando gli animali sono in letargo, la zecca, influenzata dalla fredda temperatura e dall’umidità, si nasconde in posti riparati.
Negli altri periodi vive nei luoghi verdi (preferenze: 1° dolina, 2° prato non falciato, 3° pineta, 4° prato falciato). Può vivere all’incirca 2 anni.

COSA FARE PER NON FARSI “ATTACCARE” DA UNA ZECCA

· Sedersi su dei teli di colori chiari e NON per terra.
· Vestirsi di colori chiari e adatti (consigliabili pantaloni lunghi, calzettoni, …) in modo da coprire tutto il corpo.

COSA FARE SE LA ZECCA CI HA “ATTACCATO”
LA ZECCA INFETTA SOLO DOPO DELLE ORE

· Fare una doccia e controllare tutto il corpo.
· Se si trovano una o più zecche bisogna rimuoverle non con delle comunissime pinzette ma con quelle apposite perché le comuni pinzette le “spremono” così inserendo nella puntura una bava che non permette alla ferita di coagularsi. Questa bava può trasmette anche malattie.
· Non tirarla via direttamente perché il rostro può rimanere nella pelle, ma ruotarla.
· Disinfettare con un disinfettante non colorato.
· Consigliato toglierla entro 8-9 ore dal morso.
· Consigliato segnare su un calendario il giorno affinché nei 2 mesi seguenti si possa controllare che non compaia l’ERITEMA sulla puntura altrimenti vuol dire che la zecca era infetta. In questo caso o se compaiono i sintomi dell’influenza, bisogna andare SUBITO dal dottore a farsi visitare.
Questa malattia è chiamata MALATTIA DI LYME ed è causata dalla Borrelia (batterio). Questo batterio circola nel sangue e si sparge in tutto il corpo.
La malattia di Lyme colpisce il cuore, la vista, le articolazioni, il sistema nervoso e altri organi interni. Questa malattia può apparire anche diversi anni dopo il morso. Bisorrebbe proteggere anche gli animali da questa malattia!!!
Un’altra malattia che possono trasmettere le zecche è la TBE o meningoencefalite da zecche cioè una malattia che colpisce il sistema nervoso per cui esiste un vaccino. Nel nostro Carso non sono state trovate zecche infette con questa malattia.

La dama di corte e la cultura nel Medioevo

INTRODUZIONE
L’inizio del Medioevo coincide con la fine della società romana e la sovrapposizione a questa delle strutture sociali della società germanica.
Ciò significa lo sfacelo stesso della nozione di Stato, a cui si sostituiva il legame di sangue o il rapporto di subordinazione personale ad un signore, che garantiva la sopravvivenza e la tutela giuridica. Era questa la struttura sociale alla base del rapporto feudale, fondato sull’assegnazione dei territori come ricompensa.
La città, per il prevalere dell’economia agricola basata su scambi in natura perdeva d’importanza anche se sede del vescovo e centro della diocesi.

LA CULTURA
Questa situazione sociale, che è alla base del rapporto feudale, è caratterizzata dai complicati cerimoniali dell’omaggio reso dal vassallo al signore, che sono un esempio dell’importanza che avevano i simboli per gli uomini del tempo.
Essi vivevano in condizioni d’estrema insicurezza: il mondo materiale appariva come il riflesso di un mondo nascosto, più bello e soprattutto eterno, il regno di Dio, il Paradiso. Così ogni oggetto, gesto o parola non interessava tanto per se stesso ma per il significato profondo e nascosto che simboleggiava.
Una conseguenza importante di questa mentalità era la scarsa fiducia nella possibilità dell’uomo di intervenire attivamente per cambiare le cose. Le calamità e le malattie, ad esempio, erano sopportate come “segno” di un castigo divino. Non si pensava tanto di poterle curare quanto di dover pregare Dio per esserne liberati.

Scienza, arte e letteratura.
La scienza e le sue applicazioni tecniche, erano piuttosto estranee alla mentalità medioevale; gran fascino avevano le cerimonie religiose, i riti magici volti a ottenere l’aiuto di Dio o di forze superiori.
L’originalità dell’epoca medioevale e la sua vitalità sono testimoniate dallo sviluppo artistico. La scultura non è ancora considerata come arte autonoma; si diffonde la pittura su vetro colorato. Per quanto riguarda il secolo XV, lo splendore artistico della Firenze dei Medici, illustrata dai nomi di Brunelleschi, Donatello, Piero della Francesca, appartiene cronologicamente all’era medioevale, ma costituisce propriamente la prima fase del Rinascimento Italiano.
Un’altra forma d’arte, il teatro, era molto rara, l’unica conosciuta prese il nome di sacre rappresentazioni che raccontava la storia della vita di Gesù e dell’Antico Testamento.
Nella Divina Commedia, capolavoro di Dante, confluisce l’insieme della cultura medioevale. Dante è il fondatore della letteratura nazionale, il Boccaccio della prosa narrativa moderna e il Petrarca della poesia lirica nazionale.

La scuola
Molto spesso, nell’alto Medio Evo e per tutto il Medio Evo, per ciò che riguardava le classi più umili l’unica “scuola” era la famiglia stessa. I giovani non imparavano quasi mai a leggere o a scrivere, ma erano istruiti dal padre nel mestiere che di generazione in generazione era tramandato nella stessa famiglia.
Le prime vere e proprie scuole furono aperte per volere di Carlo Magno: erano istituite presso i conventi, le chiese parrocchiali e le cattedrali e provvedevano non solo all’istruzione dei novizi e all’educazione dei giovani votati al sacerdozio, ma anche a quella dei laici. L’insegnamento era talvolta impartito in latino e la disciplina era molto severa.
Con lo sviluppo dei commerci e delle industrie, alcune scuole cominciarono ad impartire un insegnamento pratico. Esse erano chiamate scuole “abbaco”[1]: vi erano preparati coloro che dovevano lavorare nel settore commerciale.

L’amor cortese
I signori feudali della Francia meridionale erano soliti circondarsi di una piccola corte di cavalieri e dame e davano feste e ricevimenti spesso rallegrati dalle canzoni dei trovatori. Questi poeti -musicisti usavano un volgare molto diffuso nella Francia del sud, la Lingua d’oc («oc» significa «sì»), molto diverso da quello parlato al nord, cioè la Lingua d’oil, da cui deriva il francese di oggi. La loro poesia è detta cortese, perché si rivolgeva al pubblico delle corti, celebrando il mondo feudale e cantando le gioie e le pene dell’amore.
La società di corte apprezzava le buone maniere. Per meritare l’amore di una donna non bastava che il cavaliere fosse un guerriero coraggioso, doveva anche essere gentile e generoso, usare modi raffinati e saper parlare con spirito.
E poiché l’amore cortese non aveva niente a che fare col matrimonio, ma era rivolto di regola a una donna già sposata ad un altro, egli doveva saper amare in segreto, per evitare le chiacchiere dei maligni. Nella società di corte l’eroe preferito era Artù, il mitico re di Bretagna, attorno a cui si raccoglievano i cavalieri della Tavola Rotonda.
Molti romanzi fiorirono intorno a questi eroi, che erano pronti a morire per difendere il loro onore o per amore della loro donna.

LA CONDIZIONE FEMMINILE NEL MEDIOEVO
Nel Medioevo lo stato d’inferiorità della donna era ritenuto naturale anche dalle donne stesse. Questa condizione d’inferiorità non indicava però un disprezzo: la donna meritava di essere particolarmente riverita ed apprezzata.
La concezione cristiana diceva che se da un lato la donna era ritenuta inferiore perché Eva era stata creata dalla costola di Adamo, dall'altro Maria, rappresentava una delle più alte figure della teologia[2] cristiana.
Nella figura della regina o della nobildonna queste due concezioni si fondevano benissimo. La regina o la nobildonna si trasferiva frequentemente insieme al marito ed era preposta all’intera amministrazione del palazzo, partecipando così anche alla gestione del tesoro reale o signorile. La consorte influiva molto sulla politica del marito.
Era frequentissimo che, la regina o la nobildonna madre, rimasta vedova, tenesse la reggenza del regno o delle proprietà familiari con la massima autorità e il massimo rispetto dei vassalli. La donna poteva disporre personalmente dei propri beni, con l’aiuto di un balivo[3] o di un amministratore, e comunque in assenza del marito a lei spettava la totale gestione degli affari politici e amministrativi.
Seppure la donna avesse considerazione nella vita sociale, le rimaneva l'etichetta di essere debole per natura, bisognosa di protezione e relativamente priva di diritti. La distinzione tra i sessi era ritenuta una condizione naturale.

Il matrimonio
Il matrimonio corrispondeva più all’accordo tra due famiglie per stabilire un vantaggioso legame di parentela - per ragioni politiche o economiche - che all’unione volontaria di due persone e così sarà per tutto il Medioevo.
Molte giovani erano cresciute ed educate all’interno dei conventi prima di essere avviate all’esperienza del matrimonio. I conventi femminili erano sempre stati centri di preghiera, ma al tempo stesso di dottrina religiosa e di cultura: vi si studiava la sacra scrittura, considerata come base di ogni conoscenza, e poi di tutti gli altri elementi del sapere. Spesso però l’avversità di alcuni uomini che detestavano l’idea di vedere le ragazze divenire più intelligenti di loro pretendeva di limitarne l’istruzione.
La sposa portava una dote che proveniva dai suoi parenti mentre lo sposo ne assicurava una alla moglie. Si sposavano giovani: le ragazze in alcuni casi anche a 11-12 anni. Gli sposi potevano avere tra di loro una differenza d’età di 10 anni. Spesso la giovane figlia non osava, per timore reverenziale, rifiutarsi di sposare colui al quale suo padre o la sua famiglia la destinavano.
Le nozze erano riservate quasi sempre alla sola primogenita del feudatario, al fine di non disperdere il patrimonio di famiglia in più di una dote; le altre figlie, anche se prive di vocazione erano destinate al convento. Ma anche la stessa figlia del feudatario aveva due sole possibilità: sposarsi o farsi monaca.
Quanto più alto è il grado di nobiltà del padre, tanto più elevata sarà la carica che esse ricopriranno nel convento sino a raggiungere quello di badessa, il grado supremo della gerarchia ecclesiastica[4] femminile.

La vita di corte
La maggior parte delle donne che vivevano nel feudo erano o contadine o serve. Tra queste ultime, conducevano un'esistenza privilegiata le ancelle della castellana: riunite attorno a lei, ricamavano, cantavano, raccontavano fiabe, partecipavano ai divertimenti e ai banchetti.
Buona parte del giorno era impiegata lavorando. Tutte le donne sapevano cucire, filare, tessere, ricamare. Il nobile signore doveva amministrare le sue proprietà, presiedere le controversie giuridiche, tenere le relazioni con i sudditi mentre i cavalieri si allenavano con le armi. Le donne erano intente all’amministrazione del castello, alla supervisione dei servi, all’organizzazione dei servizi.
La giovane sposa imparava presto ad accettare l'autorità del consorte e a sopportarne l'assenza durante i lunghi periodi di guerra, quando da lui era affidata alla protezione (e alla sorveglianza) di fedeli cavalieri.
Di solito la castellana metteva al mondo numerosi figli, che erano però allevati dalle nutrici.
Il suo compito infatti era piuttosto quello di sovrintendere alle attività domestiche e ai doveri di ospitalità nel castello. Si trattava di intrattenere gli ospiti; filare e tessere tovaglie, lenzuola e vestiti; sorvegliare la preparazione di tutti i cibi che quotidianamente erano consumati dai numerosi abitanti del castello: dare direttive per la produzione della birra e del vino, del burro, dei formaggi, dei prosciutti e persino delle candele.
Inoltre, la castellana amministrava il bilancio familiare. Le spese erano programmate e suddivise tra le varie esigenze: andamento del castello, paghe dei dipendenti, elemosine ai poveri e alla Chiesa, acquisto di stoffe preziose, gioielli e doni.
Se il feudatario cadeva prigioniero, era la moglie che raccoglieva il denaro per il riscatto: comunque, in sua assenza, lo rappresentava in tutte le funzioni. Se poi il marito moriva senza figli, la donna diveniva sua erede, proprietaria delle sue terre: come tale poteva essere nominata vassallo e, nel caso di assedio al castello, lo difendeva insieme ai cavalieri.

La vita quotidiana
Uomini e donne dedicavano abbastanza tempo alla cura e all’igiene personale. Facevano spesso il bagno con sostanze detergenti ed emollienti, si acconciavano con attenzione i capelli. Mangiavano con le mani, in piatti comuni, passandosi l’un l’altro solo il coltello comune per tagliare le vivande. Ossa, avanzi, scarti masticati si buttavano nel piatto da portata e sempre dallo stesso piatto si prendeva un nuovo boccone.
Per organizzare una festa nel medioevo era necessaria un’occasione: un matrimonio, un’incoronazione, il ritorno da un viaggio o da una campagna militare oppure le festività religiose.
La festa cominciava con la celebrazione della messa e poi dalla chiesa si trasferiva nel salone da pranzo dove erano imbanditi fastosi banchetti. Mentre gli invitati mangiavano si esibivano giullari, ballerini, ma anche poeti, trovatori[5] e attori. Ma banchetti, musica, danze e manifestazioni artistiche facevano solo da cornice al momento culminante di una festa: il torneo.
Nelle corti principesche cominciava inoltre a svilupparsi un fenomeno simile a quello della moda che divenne in seguito una componente essenziale della vita di corte.

Indumenti indossati dalla dama medievale
Le donne non indossavano le brache ma talvolta si cingevano il petto con un velo di mussolina[6] a mo' di reggiseno.
La tunica poteva essere di due tipi: quella normale era una semplice veste lunga fino a metà polpaccio, mentre quella composta, comparsa verso il 1180, comprendeva un corsetto[7] aderente, una larga fascia che sottolineava la vita e una gonna lunga aperta su entrambi i fianchi.
Lo scollo era sempre ampio e rotondo, le maniche lunghe e svasate[8] a partire dal gomito. Le tuniche più belle erano di sciaminto[9], col corpetto goffrato[10], la gonna pieghettata sul fondo, adorne di ricami e di galloni.
Per quel che concerne le calzature, la moda prediligeva i piedini minuscoli, i tacchi abbastanza alti, il passo ondeggiante e accuratamente studiato. Il mantello femminile era una pellegrina semicircolare che non era chiusa sulla spalla come quella degli uomini ma sul petto, con alamari e lacci alla cui confezione si dedicava sempre molta cura.
La pettinatura variava secondo l'età: le fanciulle e le donne più giovani portavano i capelli con la scriminatura al centro e due trecce che scendevano sul petto, talvolta lunghe fino alle ginocchia.
Dopo il 1200 la moda delle lunghissime trecce tende a scomparire per lasciare il posto a capelli più corti tenuti fermi da un cerchietto e lasciati fluttuare sulle spalle.
Prima di uscire di casa o di entrare in chiesa ci si copriva la testa con un velo di mussolina di lino o di seta. Le donne adulte portavano una grossa crocchia[11] avvolta in una specie di foulard annodato e sormontato da una banda che cingeva la testa orizzontalmente.
Naturalmente i bei vestiti lungamente descritti nelle opere poetiche o dipinti nei codici[12], si riferivano agli abiti delle feste e non a quelli del quotidiano, quando le donne indossavano lunghe sopravesti di lana grezza.

Una donna del Medioevo: Eleonora d’Aquitania
Eleonora, ricchissima ereditiera del feudo d’Aquitania (nel sud della Francia), fu due volte regina. Quindicenne, andò sposa al re di Francia e qualche anno dopo, sciolto il precedente matrimonio, sposò Enrico Plantageneto, il futuro re d’Inghilterra.
Nelle corti d’Aquitania dov’era cresciuta, Eleonora aveva appreso l’amore per la bellezza, la poesia, i costumi raffinati. Eleonora fu protettrice e ispiratrice della poesia cortese. A lei probabilmente fu dedicato nel XII secolo il poema di Tristano, una tragica storia d’amore e morte, dominata dal destino.



Bibliografia:

Enciclopedia del sapere – 9° volume Fratelli Fabbri Editori.
Enciclopedia “La vita Meravigliosa” – 9° volume Edizioni M. Confalonieri.

Siti internet:
www. medioevo.com
http://www.delfo.forli-cesena.it/
http://www.monteforti.eu/
http://www.romecity.it/

I disegni sono tratti dalle enciclopedie.
Le illustrazioni dai siti internet.
[1] Abbaco o abaco: arte del calcolo, aritmetica – tavoletta utilizzata per eseguire calcoli aritmetici
[2] Teologia: scienze che studia la natura di Dio
[3] Balivo: nel sistema feudale, funzionario nominato dal sovrano
[4] Gerarchia ecclesiastica: complesso delle persone appartenenti alla Chiesa ordinate secondo la loro prevalenza.
[5] Trovatore: poeta rimatore e musico della Provenza.
[6] Mussolina: tela o lana sottile per biancheria
[7] Corsetto: corsé – busto da donna, fascetta.
[8] Svasato: aperto più stretto all’inizio e che poi si allarga.
[9] Sciaminto: velluto.
[10] Goffrato: tessuto con lavorazione in rilievo, conettato.
[11] Crocchia: acconciatura dei capelli raccolti alla nuca.
[12] Codici: libro manoscritto.