domenica 24 gennaio 2010

Musica nella storia

MUSICA NELLA PREISTORIA
Alcuni popoli consideravano la musica un dono degli dei e il suono la loro voce. Anche nella Bibbia è presente la musica. I sacerdoti cantori erano importanti perché conoscevano le leggi arcane della materia sonora.
I primi strumenti musicali furono adattamenti di utensili impiegati per fini pratici o lo stesso corpo umano. Uno studioso classificò gli strumenti in: idiofoni, membrafoni, aerofoni e cordofoni. Tra gli idiofoni (i più diffusi) ricordiamo (o meglio dovremo ricordare) il corpo umano, i tronchi e sonagli di semi o di sassolini. Per i membranofoni le pelli di animali tese su una cavità e i primi tamburi. Tra gli aerofoni il bastone sibilante, flauti di ossa di animali. Tra i cordofoni (meno diffusi) l'arco e il salterio di canna.
Forse la musica è nata quando l'uomo ha cominciato ad imitare i rumori della natura. Presso i popoli antichi la musica aveva origine divina, in quanto furono gli dei, si narra, a donarla agli uomini. Si pensa che le forme musicali del periodo preistorico consistessero in danze e canti di carattere sacro o magico, volte a propiziarsi gli dei. Le melodie dovevano avere un carattere ripetitivo e il ritmo era ossessivo. E' probabile che i primi strumenti fossero oggetti quotidiani usati come strumenti a percussione, persino zucche essiccate contenenti sassolini e in seguito tamburi, flauti. Nessuno dei popoli primitivi studiati dagli antropologi ignora l'uso dei suoni, cioè un qualche tipo di musica. Ed è pensabile che essa si sia sviluppata nelle comunità preistoriche insieme con il linguaggio. Per amplificare la voce e mandare richiami a distanza, gli uomini primitivi si servivano di grandi conchiglie o di trombe fatte di scorza d'albero, che furono dunque i primi strumenti a fiato. Oppure battevano su tronchi cavi o su pelli tese sopra un recipiente vuoto, insomma sui primi strumenti a percussione. Anche la natura offre suoni significativi, che possono essere modulati o fragorosi: basta pensare al canto soave dell'usignolo o, al contrario, ai rumori improvvisi e terrificanti della tempesta, con il vento che sibila tra gli alberi, la pioggia che scroscia sulla terra e il tuono che squarcia il cielo. Gli uomini primitivi, attenti ai fenomeni naturali e intimoriti dal fatto di non poterli controllare consideravano questi suoni come voci divine, e ben presto la musica venne ad avere una parte importante nei riti magici e religiosi delle comunità umane. Con i flauti fatti di canne più o meno lunghe si potevano emettere suoni simili al cinguettare degli uccelli, con i tamburi e i gong si imitavano i suoni più profondi o squillanti. Quando tuttavia parliamo di musica, intendiamo non solo l'emissione di suoni con la voce e gli strumenti, ma anche una qualche loro organizzazione. Può bastare un suono soltanto per avere della musica, ma ripetuto seguendo un "ritmo".Più suoni, alti e bassi, emessi successivamente da uno strumento o dalla voce danno una "melodia". Più suoni emessi simultaneamente creano un"'armonia", naturalmente se vanno d'accordo tra loro, altrimenti si ha un'accozzaglia sgradevole. Il lungo cammino della musica attraverso i millenni ha visto uno sviluppo molto complesso di questi tre elementi: ritmo, melodia, armonia. Per quanto diversi siano i risultati presso i differenti popoli e le differenti culture, è certo che la musica ha accompagnato l'uomo in ogni tipo di società. Essa è una componente fondamentale dello spirito umano e un'esigenza insopprimibile. Prima di nascere, ciascuno di noi vive lunghi mesi nel grembo materno e ogni attimo è scandito dal ritmo del cuore della mamma.Anche nella nostra preistoria personale, dunque, c'è la musicaLa musica antica, greca e romana, pone problemi ben diversi da quelli che si presentano agli studiosi della musica di altre epoche: infatti non conosciamo nulla o quasi delle composizioni che furono prodotte e eseguite in quel periodo. Non possediamo neppure una nota di tutto ciò che è stato composto prima del III secolo a.C. e i pochissimi testi musicali di età ellenistica e romana che ci sono pervenuti non forniscono indicazioni precise e esaurienti per la loro esiguità e il deplorevole stato di conservazione. Dal 1850 in poi il nostro patrimonio di testi musicali si è relativamente arricchito per la scoperta di tre iscrizioni - i due Inni delfici e l’epitafio di Sicilo, del I secolo - e di una quindicina di brevi frammenti papiracei, il più antico dei quali è del III secolo a.C. e contiene alcuni versi dell’Ifigenia in Aulide di Euripide. Queste composizioni, prese insieme, non arrivano all’estensione di una sonata di Bach per violino solo; per di più sono quasi tutte molto frammentarie e la loro interpretazione e trascrizione è spesso problematica.Scarse sono anche le indicazioni culturali che possiamo ricavare dalle opere dei teorici greci e romani, in quanto essi considerarono il fenomeno musicale quasi esclusivamente dal punto di vista dell’indagine acustica e matematica. Si occuparono soprattutto della dottrina degli intervalli, calcolandone l’ampiezza in base a rapporti numerici e analizzando i vari modi in cui gli intervalli stessi possono disporsi all’interno dei tetracordi ( schemi musicali elementari, formati dalla successione di quattro note, che per la musica greca hanno la stessa funzione delle scale di ottava per la nostra musica) e dei sistemi (strutture più ampie, formate da due o più tetracordi). Nei loro scritti non si trova mai né un riferimento a una composizione musicale qualsiasi né una indicazione circostanziata sulla tecnica compositiva e esecutiva.E’ invece considerevole l’ampiezza della documentazione, reperibile in tutta la tradizione letteraria, filosofica e artistica, pertinente all’incidenza del fenomeno musicale nella cultura antica e ai suoi aspetti sociologici.La musica nella civiltà romana:Le considerazioni di ordine generale sull’importanza della musica nella vita sociale e culturale dei Greci conservano il loro valore anche se vengono riferite alla civiltà romana che nel periodo delle origini, per quanto riguarda i fenomeni musicali, presenta caratteri di sostanziale analogia con la grecità arcaica: anche a Roma, in un ambito di cultura orale, tutte le forme poetiche di cui ci è giunta notizia (poesia sacrale, canti conviviali, testi drammatici, canti trionfali, lamentazioni funebri) erano destinate all’esecuzione cantata con accompagnamento strumentale. Fra gli strumenti a corde si ritrova la lira e fra quelli a fiato la tibia, simile all’aulos. Tipicamente romani furono invece strumenti a fiato come il cornus e il lituus, entrambi di bronzo e usati in campo militare: proprio gli strumenti militari erano al centro della cerimonia del Tubilustrium , durante la quale erano "purificati" con riti e preghiere. I mutamenti più consistenti rispetto alla tradizione greca si registrarono in età imperiale, quando affluirono a Roma in gran numero cantanti, danzatori e strumentisti provenienti, oltre che dalla Grecia, anche da altre parti dell’Impero: dall’Egitto, dalla Siria, dalla Spagna. Questo fenomeno, che si verificò in concomitanza con la massiccia immigrazione di provinciali e schiavi che alterarono profondamente il carattere stesso della società urbana, determinò la formazione di un ambiente musicale molto composito per la compresenza di forme espressive così eterogenee. Una reazione a questo inquinamento della cultura musicale greco - romana può forse essere individuata nei tentativi di ridare lustro ai generi solistici di più antica tradizione, come la citarodia e la citaristica, da parte di alcuni imperatori che erano anche buoni dilettanti o perlomeno intenditori di musica (Nerone, Vespasiano, Adriano). Accanto alle manifestazioni della musica profana si affermarono in Roma anche le espressioni musicali collegate ai culti di divinità straniere: durante le cerimonie rituali in onore di Cibele si eseguivano melodie di origine frigia accompagnate dal suono degli élymoi, auloi di lunghezza diversa, uno dei quali terminava con un padiglione ricurvo all’indietro, e ritmate dai cimbali e dai timpani; gli stessi strumenti erano impiegati nei riti dionisiaci, i Bacchanalia. Il culto di Iside, che si diffuse soprattutto dopo la conquista dell’Egitto, del 31 a.C., fece conoscere ai Romani, oltre alle melodie e alle danze della valle del Nilo, anche il sistro, uno strumento formato da lamine metalliche che tintinnavano agitate dai sacerdoti.Fu in questo ambiente culturale così vario e composito che si formò nel I-II secolo il primo nucleo dei canti cristiani.
I primi fedeli che costituirono la chiesa di Roma erano ebrei, e nella salmodia ebraica noi possiamo senz’altro individuare uno degli elementi fondamentali delle primitive espressioni musicali cristiane; tuttavia il canto liturgico si arricchì di motivi eterogenei, cui certamente non fu estranea la influenza della musica greco - romana. La contrapposizione ideologica tra cristiani e pagani condizionò tuttavia anche la musica del culto. Nel 313 Costantino concesse ai cristiani la libertà di culto e più tardi Teodosio fece del Cristianesimo la religione ufficiale dello Stato: per soddisfare l’esigenza di una partecipazione corale al rito, accanto alla salmodia solistica e al canto responsoriale, si introdusse nella liturgia cristiana anche il canto antifonale, eseguito da tutti i fedeli divisi in due semicori. Questi modi di esecuzione vocale costituirono i punti di partenza perla successiva evoluzione delle forme musicali del Medioevo: alla caduta dell’Impero d’Occidente, solo la musica della Chiesa si salvò dall’offuscamento e dalla scomparsa della tradizione musicale classica e fu in grado di fornire un contributo determinante alla formazione delle nuove culture musicali nazionali.La musica degli antichi romani fu influenzata dal popolo etrusco, da quello greco e dai popoli medioorientali. La tuba era una tromba etrusca dritta, in bronzo o legno ricoperto di cuoio: altri strumenti erano il cornu (un corno semicircolare) e la buccina, un corno animale. Nell'esercito la tuba era usata per l'attacco e la ritirata, la buccina per i turni di veglia. la differenza degli antichi Greci, i Romani non attribuivano grande importanza all’arte dei suoni: dalle fonti letterarie sappiamo che la musica era presente nelle cerimonie pubbliche e private ma i suonatori e i cantori non godevano di alta considerazione e appartenevano ai ceti sociali più bassi.Soprattutto in epoca repubblicana, la musica era considerata utile ma, allo stesso tempo, pericolosa perché poteva rendere fiacchi e deboli gli animi.Non veniva utilizzata quindi per rilassare o per alleviare le fatiche del vivere quotidiano: al contrario serviva ad incitare,a dare energia, a stimolare lo svolgimento di attività. Per questo motivo i Romani preferivano gli strumenti a fiato, dal suono più potente e deciso rispetto a quelli a corda. Per quanto riguarda gli strumenti musicali conosciamo tra gli altri: la tibia, simile all’aulòs, ad ancia doppia; il lituus, l’antico progenitore della tromba; la bùccina, lunga più di tre metri ed usata in ambito militare; l’hydraulis, organo ad aria e ad acqua, lo scabellum, una specie di tamburo percosso con i piedi.Dalle fonti sappiamo che melodia, ritmo e armonia derivavano prevalentemente dai modelli della cultura.

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